C'è un motto che desidero citarvi a mo' di premessa. E' una frase che spesso viene attribuita a Giulio Andreotti e che probabilmente fu da lui davvero pronunciata in qualche occasione ma il cui vero autore è, in realtà, Oscar Wilde: "There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about", si legge ne "The Picture of Dorian Gray" del 1891. La traduzione letterale fa più o meno così: "Al mondo c'è una sola cosa peggiore del far parlare di sé ed è il non far parlare di sé".
La "vulgata" attribuita appunto all'ironico Giulio Andreotti era ancora più diretta e suonava più o meno così: "Non importa che se ne parli male, l'importante è che se ne parli!". Perché parto così da lontano per introdurre il post che state leggendo? Perché ora vi parlo di una stroncatura bella e buona che ho ricevuto su un testo universitario di fonetica: quando, per puro caso, l'ho scoperta in internet un po' ci sono rimasto male ma poi, a mente fredda, ho fatto il ragionamento che ora desidero condividere con voi. Andiamo per ordine. La foto che trovate sopra è tratta da un libro che si intitola: "La buona pronuncia italiana del terzo millennio" (Aracne Editore, 2008 e successive riedizioni). A pagina 9 dell'introduzione, i due autori - Luciano Canepari e Barbara Giovannelli - in una lunga nota a margine se ne escono con questo giudizio non propriamente lusinghiero nei confronti miei ma soprattutto di due professionisti certamente più noti e affermati del sottoscritto: "Se tutti i vari "esperti televisivi" avessero un minimo di cura per l'ortoepia (e, a volte, anche per l'ortologia stessa), s'eviterebbero figure alla Mario Tozzi (di Gaia), che ci sembrava far la parodia della trasmissione scientifica, le prime volte che ci appariva in televisione, con quel suo marcatissimo accento romano (e una faccia da "impunito")! Inoltre, se ci fosse un minimo di decenza, o "fonotonodencenza", non si manderebbero in onda voci insopportabili come quella di Daria Bignardi (che arriva ad allungar un monosillabo di 5 volte la sua durata naturale, appensantendolo anche con tonalità di base ferrarese, esaperate al cubo da "vezzi" personali), o di Claudio Micalizio. E chi è costui? Uno che gridava notizie da Radio Montecarlo, con ripugnante pronuncia mediatica settentrionale". Ora... io non so come l'abbiano presa i due illustri personaggi citati prima di me nel libro ma personalmente reputo queste parole un prestigioso riconoscimento professionale. E qui serve una precisazione importante: probabilmente i due docenti hanno ragione a criticarmi. Io stesso, riascoltando vecchie registrazioni e rivedendo per esempio i filmati dei miei esordi in tv, riconosco di essere molto cambiato e, spero, migliorato: ma non mi vergogno a dire che la mia formazione professionale, maturata in oltre 25 anni di dura gavetta, è stata obbligatoriamente un po' naif. Per esempio: non ho mai fatto corsi di dizione. Quel poco che ho imparato, l'ho appreso ascoltando i consigli dei professionisti con cui mi è capitato di collaborare nel corso degli anni ma soprattutto cercando di "assorbire" il meglio dalle voci che sentivo - come un qualunque spettatore - alla radio e alla tv sin da quando ero bambino. Essendo nato a Voghera, in Lombardia, e avendo sempre lavorato tra Pavia e Milano avevo ben chiaro che non fosse opportuno parlare con un accento romanesco o napoletano (peraltro ancora molto presenti tra le voci in onda sui principali network di informazione) ma evidentemente non avevo gli anticorpi per capire che mi esprimevo "con ripugnante pronuncia mediatica".
Analogo discorso per la formazione giornalistica: probabilmente non c'è nulla di cui vantarsi ma posso rivendicare con orgoglio il fatto di essere la testimonianza di come ancora oggi sia possibile crescere in questa professione avendone imparato i segreti a bottega, come facevano un tempo gli artigiani e - mutatis mutandis - i cronisti di razza che hanno fatto la storia del giornalismo. Ho iniziato a scrivere per i primi giornali locali all'età di 14 anni - ero in quarta ginnasio - e due anni dopo ho avuto la prima esperienza in tv come conduttore di un programma sportivo (!), poi sono venute le collaborazioni con i gli altri periodici della mia zona e con le radio locali, poi i giornali nazionali, poi il primo contratto da precario in una tv locale, poi le collaborazioni con quelle regionali, fino al grande salto con i network radiofonici nazionali che per la prima volta mi hanno anche contrattualizzato. Nessuno mi ha mai regalato nulla, io non ho mai cercato favori o raccomandazioni: ho lavorato con grande sacrificio, cercando di rubare da ogni esperienza - anche quelle negative, come le stroncature dei miei superiori o le tante testate fallite senza mai pagarmi per le prestazioni fornite - un qualche insegnamento che mi potesse tornare utile. Anni trascorsi sempre di corsa, rinunciando alla laurea in giurisprudenza e a serate in discoteca e vacanze esotiche con gli amici per godere fino in fondo dell'ebbrezza che deriva dal lavoro più bello del mondo. L'unico corso che ho fatto è del 2004 ed è quello, obbligatorio, che l'Ordine dei Giornalisti impone a tutti i praticanti che devono sostenere l'esame di abilitazione professionale: l'ho passato al secondo tentativo ma ce l'ho fatta. Certo, tutto questo non sarebbe stato possibile senza anche una buona dose di fortuna e io devo ringraziare chi, a Rtl 102.5 prima (Aldo Preda, responsabile del progetto Rtl Milano nel 1999) ma soprattutto a Radio Monte Carlo (il direttore delle news Paolo Del Forno che mi chiamò nel 2000), ha creduto in me, mettendomi alla prova e poi rinnovandomi la fiducia sulla base dei risultati prodotti. Senza questi due salti di qualità nella mia carriera professionale, oggi sarei un bravo (forse) giornalista ma condannato a vivere di collaborazioni precarie come tanti colleghi forse più bravi di me ma certo più sfortunati. E devo ringraziare anche Massimo Dini, l'ex direttore della Scuola di Giornalismo di Milano (la "mitica" Carlo de Martino", prima scuola di formazione italiana gestita direttamente da un Ordine della Lombardia) che mi volle come docente del laboratorio di "giornalismo radiofonico" per ben due bienni nonostante... non fossi laureato, non fossi in grado di insegnare dizione (mi fu affiancata una professionista che curasse esclusivamente questi aspetti) e me la "tirassi" molto meno di tanti pretendenti che avrebbero voluto quel posto: tra i miei allievi c'è chi oggi lavora in Rai, chi a Sky, chi in Mediaset e chi a Radio 24. Qualcuno addirittura riteneva di essere inadatto a parlare ad un microfono, altri sognavano di fare i giornalisti per la carta stampata. Eppure si fidarono di me e scelsero di frequentare anche le mie lezioni e oggi - non certo solo per merito mio - vivono parlando alla radio o in tv. Ebbene, loro sono la mia più grande soddisfazione.
E veniamo alla stroncatura da cui sono partito... Sapete perché non sono arrabbiato per quello che Luciano Canepari e Barbara Giovannelli hanno scritto su di me? Perchè intanto, probabilmente, avevano ragione a scrivere di me quelle cose. Ma poi, soprattutto, perché se si sono accorti del sottoscritto e mi hanno affiancato ai nomi di grandi protagonisti come Tozzi e la Bignardi... beh, hanno certificato la mia esistenza. Io, per intenderci, prima di essere bacchettato da loro... neanche sapevo dell'esistenza di questi due docenti che pare insegnino all'Università di Venezia. E invece oggi ho la certezza che nel mondo qualcuno mi ha ascoltato e mi ha notato, quindi ho lasciato il segno forse per il mio modo molto anticonvenzionale di condurre e "dare le notizie": che poi... lasciare il segno... è in realtò uno dei traguardi che sempre insegue chi fa un lavoro come il mio. Lo so che in giro ci sono professionisti migliori di me ma so anche che tutto quello che ho conseguito nella mia crescita professionale non l'ho rubato, né mi è stato regalato: e se, nonostante tutto, dal 1986 ad oggi continuo a lavorare in questo campo... forse è perché un pochino valgo anch'io.
Ps. Tra le cose che ho subito imparato nei primi anni di gavetta c'è che radio e tv richiedono capacità di sintesi. A vedere la lunghezza di questo post mi vien da dire: "Meno male che non scrivo sui giornali"... E' peggio essere prolissi o avere una "ripugnante pronuncia settentrionale..."?
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